NOI CONTRO QUESTA COSA SENZA NOME

giovedì 15 novembre 2018

UNA TREGUA

Quest'anno non sono stata per niente attiva in questo blog, e un pochino mi dispiace. 
Dispiace soprattutto per me stessa, perché era un diario che mi aiutava ad alleggerire il peso che sentivo spesso nel mio cuore. E infatti questo peso, in questi mesi, si è ben accumulato e fa fatica ad uscire. 

Ci sono periodi strani nella nostra Vita. Non belli, non brutti, ma strani. Quelli in cui stai andando da qualche parte ma non capisci dove..per cui tu vai avanti, avanti, avanti, come se fosse diventato un meccanismo automatico. Avanti. Testa alta, testa bassa, poco conta. Vai avanti. E fai un sacco di cose, cerchi in ogni parte idee innovative, ti ingegni per capire cosa può fare effettivamente la differenza nella Vita tua e di chi ti sta accanto. E perdi di vista chi sei, come sei e cosa vuoi.

Con Riccardo, ultimamente, viviamo periodi molto strani. Stiamo facendo tanto, stiamo mettendo del nostro meglio, stiamo usando tutte le nostre energie, ma non abbiamo ben chiaro dove stiamo andando. 
Eppure, come fai ad avere ben chiaro dove stai andando con un bambino con disabilità? Ogni giorno c'è una nuova conquista, ogni giorno c'è un nuovo problema da gestire, ogni giorno è strano. 
E' strano...Perchè può essere che ciò che tu hai insegnato ieri sia già dimenticato, o allo stesso tempo sia già troppo poco. 
E' strano...Perchè può essere che se ieri sei riuscito a fare la spesa al supermercato senza fare intoppi, oggi si può scatenare l'inferno già appena entri. 
E' strano... Perchè se ieri hai utilizzato determinate parole per spiegare una cosa, oggi possono non andare più bene e devi trovarne altre di parole. 
E' strano... Perché alla fine ti rendi conto che passi il tuo tempo a provare a gestire tuo figlio, invece di godertelo. Ed è stancante, sotto tutti i punti di vista. 

Ogni tanto penso se riusciremo mai ad avere una tregua, noi tre insieme. Un momento nostro, che non duri semplicemente i quindici minuti prima di andare a letto, in cui godiamo della presenza dell'altro senza dover pensare a che parole usare, a come anticipare una crisi, a come muoverci senza spaventare, a come gestire qualche imprevisto. Un momento nostro, in cui possiamo essere semplicemente liberi di essere noi stessi, senza indicazioni da seguire, regole da dettare, immagini da plastificare. 
Una tregua. 
A noi basterebbe semplicemente una piccola tregua, per guardarci negli occhi e ricordarci che siamo sempre noi: una mamma, un papà e un figlio. E che la disabilità è solo un'aggiunta nella nostra Vita, che ci rende le cose più faticose, ma che non riuscirà a dividerci, Mai. 



venerdì 6 aprile 2018

2 APRILE....ANCHE OGGI!



C'e questa usanza, da un po di anni a questa parte, di creare dei giorni in cui si sente di più in qualcosa. Ci si sente di più donne, mamme, nonni, innamorati, papà...ci si sente persino più autistici, malati di malattie rare, e quant'altro. 

Ecco, queste giornate non mi sono mai piaciute particolarmente, ma mi rendo conto che, alla fine, ci casco ogni volta, come la massa intera. 

Per cui a San Valentino faccio trovare due baci Perugina sul piatto a mio marito, per la festa della Mamma mi sento più Mamma e faccio un piccolo pensiero a mia Mamma, per la festa del Papà preparo un lavoretto per Francesco e logicamente faccio gli auguri a mio Papà, e così via. 
E ogni anno me lo ripeto eh. 
Ogni anno mi dico, come tutti, che queste attenzioni dovrebbero esserci tutto l'anno. E alla fine, rimango sempre delusa, sia dalle aspettative su me stessa, sia da quelle che ripongo sugli altri. 

Per di più, quando arriva il 2 aprile, faccio sempre un passo indietro, e invece di cambiare la mia immagine del profilo con quelle create ad hoc per questa giornata, mi metto a pensare. 
L'argomento mi tocca da vicino, anche se Riccardo non rientra nello spettro autistico. Alla fine, un nome vale l'altro dal momento in cui ti ritrovi nel pianeta "Disabilità". Ci sei dentro, e la maggior parte delle volte non ne puoi nemmeno uscire. 
Per cui, dicevo, quando arriva il 2 aprile, in cui tantissime persone scrivono belle frasi, con tanti bei propositi, articoli su articoli per essere condivisi..beh, mi chiedo se queste persone, nella realtà, passano davvero del tempo nel nostro pianeta, o se la loro vicinanza è solo di facciata. 

Ecco. La risposta, la maggior parte delle volte, la trovo negli sguardi dei genitori che incrocio ogni giorno. E forse a volte anche nel mio sguardo, davanti allo specchio. Genitori un po' stanchi, a tratti arrabbiati, forse anche un po' delusi da ciò che la Vita ha riservato loro. Genitori che vorrebbero dar voce a tutti i loro pensieri, ma che in realtà non sanno a chi urlarli perché si rendono conto che nel nostro pianeta, alla fine, o ci si vive o non si capisce e quindi evitano di parlarne per togliere il mondo da quell'imbarazzo che di solito si crea. E questo, proprio questo, è quello che forse fa più male. 
Parlare, senza poterlo fare fino in fondo. 
Volersi sfogare, senza poter dire a voce alta "io questa vita non la voglio" senza essere giudicati. 
Piangere, senza essere compatiti. 
Stare in silenzio, senza dover per forza dare preoccupazioni. 

E allora penso che è fin troppo semplice cambiare la propria immagine del profilo per un paio di giorni, per dire al mondo che "si, io so che oggi la giornata è dedicata a questo, vedete che le cose importanti me le ricordo", e poi magari guardare male il genitore seduto a tavola che cerca di tranquillizzare il proprio figlio nel pieno di una crisi, pensando a quanta maleducazione c'è a questo mondo. 
Detto questo, sicuramente tra le persone che hanno dedicato qualche parola a questa giornata, ci sono anche quelle che il 2 aprile lo sentono dentro al loro cuore, ogni giorno. Ed è grazie a loro che, probabilmente, i genitori si sentono meno soli.  



lunedì 22 gennaio 2018

WONDER...E NOI


Sono stata al cinema a vedere Wonder.
Due volte.
La prima volta ci sono stata con il gruppo di mamme dei compagni di Riccardo, giusto per far fuori tutte insieme un po’ di pacchetti di fazzoletti. E poi, siccome di fazzoletti ne erano anche avanzati, ho avuto la fantastica idea di accompagnare Francesco, così li abbiamo finiti.

Bel film, nulla da dire. Commovente, diretto, emozionante, forte.
Mi sono rivista in tante scene. Ho sentito mia la paura della Mamma nel lasciare Auggie alla sua vita, libero di camminare e di seminare da solo Amore in giro per i corridoi della scuola. Ho riso a tutte le battute del Papà, molto ironico, soprattutto nei confronti di sua moglie. Mi sono commossa sui pensieri di Via, la sorella, e mi sono chiesta se anche la sorellina di Riccardo, se mai arriverà, penserà le stesse identiche cose e vivrà con tanto Amore e allo stesso tempo con tanta Solitudine questa relazione. Ho preso spunto da alcune riflessioni del Professore, dal suo modo di agire in classe, dal suo entusiasmo nel trasmettere prima di tutto regole di Vita che apprendimenti scolastici.
E poi…poi ho cercato di paragonare Auggie a Riccardo, o Riccardo a Auggie, come volete insomma. Ed entrambe le volte, a questo ragionamento, sono uscita dalla sala pensando “Troppo facile…!”.

Si, troppo facile.
Troppo facile raccontare la storia di un bambino con una deformazione facciale, super intelligente, pure simpaticissimo e con una capacità relazionale al top.
Certo, la deformazione fisica è un grande ostacolo, sicuramente preda del bullismo ed è giusto trattare tutto come viene ben fatto in questo film. Anche perché, di questi tempi, non serve nemmeno avere una qualche deformazione fisica per essere vittime di bullismo, basta anche molto meno. È un problema serio e va affrontato.
Ma comunque, io continuo a dirmi che è troppo facile così.
È troppo facile per i genitori, che in ogni caso, in questo film, si confrontano quotidianamente con il proprio figlio in un modo che a volte nemmeno nella realtà succede, anche senza una deformazione facciale. È troppo facile per gli insegnanti, che devono solo “abituarsi” ad una faccia ma non devono pensare di giorno e di notte a dei metodi speciali per far in modo che Auggie apprenda senza intoppi. È troppo facile per i compagni che quando vedono in Auggie un valido alleato per copiare le verifiche si accorgono che "Ma sì dai, non è poi così male!".
E quindi io mi chiedo: la trama sarebbe stata uguale se al posto di quella deformazione facciale ci fosse stato un ritardo mentale, oppure un’iperattività, un’incapacità a comunicare, una difficoltà alla regolazione emotiva? Auggie avrebbe comunque attirato a sé tutti quei cuori? Avrebbe ricevuto lo stesso il premio più ambito dell’anno alla consegna dei diplomi?

Mah.

Mi ha colpito tantissimo una frase che ha detto il preside ad un certo punto: “August purtroppo non può cambiare la sua faccia, ma quello che noi possiamo fare è cambiare il nostro punto di vista”.
E mi chiedo ancora: noi, adulti e ragazzini, quanto siamo disponibili a cambiare il nostro punto di vista nel momento in cui c’è una necessità?

Voi che dite?!


In ogni caso, in qualsiasi modo la pensiate, deformazione facciale o no, disabilità cognitiva o no, vale sempre il precetto: SE POTETE SCEGLIERE TRA ESSERE GIUSTI ED ESSERE GENTILI, SIATE GENTILI.