Sono stata al cinema a vedere Wonder.
Due volte.
La prima volta ci sono stata con il
gruppo di mamme dei compagni di Riccardo, giusto per far fuori tutte insieme un
po’ di pacchetti di fazzoletti. E poi, siccome di fazzoletti ne erano anche
avanzati, ho avuto la fantastica idea di accompagnare Francesco, così li
abbiamo finiti.
Bel film, nulla da dire. Commovente,
diretto, emozionante, forte.
Mi sono rivista in tante scene. Ho
sentito mia la paura della Mamma nel lasciare Auggie alla sua vita, libero di
camminare e di seminare da solo Amore in giro per i corridoi della scuola. Ho
riso a tutte le battute del Papà, molto ironico, soprattutto nei confronti di
sua moglie. Mi sono commossa sui pensieri di Via, la sorella, e mi sono chiesta
se anche la sorellina di Riccardo, se mai arriverà, penserà le stesse identiche
cose e vivrà con tanto Amore e allo stesso tempo con tanta Solitudine questa
relazione. Ho preso spunto da alcune riflessioni del Professore, dal suo modo
di agire in classe, dal suo entusiasmo nel trasmettere prima di tutto regole di
Vita che apprendimenti scolastici.
E poi…poi ho cercato di paragonare
Auggie a Riccardo, o Riccardo a Auggie, come volete insomma. Ed entrambe le
volte, a questo ragionamento, sono uscita dalla sala pensando “Troppo
facile…!”.
Si, troppo facile.
Troppo facile raccontare la storia di
un bambino con una deformazione facciale, super intelligente, pure
simpaticissimo e con una capacità relazionale al top.
Certo, la deformazione fisica è un
grande ostacolo, sicuramente preda del bullismo ed è giusto trattare tutto come
viene ben fatto in questo film. Anche perché, di questi tempi, non serve
nemmeno avere una qualche deformazione fisica per essere vittime di bullismo,
basta anche molto meno. È un problema serio e va affrontato.
È troppo facile per i genitori, che in
ogni caso, in questo film, si confrontano quotidianamente con il proprio figlio
in un modo che a volte nemmeno nella realtà succede, anche senza una
deformazione facciale. È troppo facile per gli insegnanti, che devono solo
“abituarsi” ad una faccia ma non devono pensare di giorno e di notte a dei
metodi speciali per far in modo che Auggie apprenda senza intoppi. È troppo
facile per i compagni che quando vedono in Auggie un valido alleato per copiare le verifiche si accorgono che "Ma sì dai, non è poi così male!".
E quindi io mi chiedo: la trama
sarebbe stata uguale se al posto di quella deformazione facciale ci fosse stato
un ritardo mentale, oppure un’iperattività, un’incapacità a comunicare, una
difficoltà alla regolazione emotiva? Auggie avrebbe comunque attirato a sé
tutti quei cuori? Avrebbe ricevuto lo stesso il premio più ambito dell’anno
alla consegna dei diplomi?
Mah.
Mi ha
colpito tantissimo una frase che ha detto il preside ad un certo punto: “August
purtroppo non può cambiare la sua faccia, ma quello che noi possiamo fare è
cambiare il nostro punto di vista”.
E mi
chiedo ancora: noi, adulti e ragazzini, quanto siamo disponibili a cambiare il
nostro punto di vista nel momento in cui c’è una necessità?
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