NOI CONTRO QUESTA COSA SENZA NOME

giovedì 17 novembre 2016

ACCETTARE...LA STRADA VERSO LA SERENITA'



Ecco...Pronti per un altro racconto, o meglio, un'altra condivisione. 

L'accettazione. 

Argomento delicato, questo. E forse l'unico per cui vale la pena farsi aiutare al 100 %. Accettare quello che non si può cambiare è di vitale importanza per andare avanti e vivere serenamente la propria vita. Ed è anche, però, la cosa più difficile. 

Ho capito che in Riccardo c'era qualcosa che "non andava" già dopo quattro giorni dalla nascita. Mi ricordo che, piangendo, mi sono sfogata con mio marito chiedendo come mai nessuno si accorgeva che Riccardo era strano. Non si svegliava per mangiare, non si attaccava al seno, il poco latte che beveva lo rigurgitava, dormiva sempre, non piangeva mai ed era un peso morto quando lo avevo in braccio. Lui mi rispose di stare tranquilla, che erano solo mie impressioni..Probabilmente non voleva che mi preoccupassi per "niente". E così è stato per molto tempo. Il periodo peggiore, secondo me, perché quando tu continui ad avere delle brutte sensazioni, ma nessuno le ascolta per paura di non alimentare la tua ansia, fanno proprio l'opposto... Tu ti arrabbi, con te stessa e con tutti, e nello stesso tempo ti senti sola, maledettamente sola. Non ne faccio per nulla una colpa alle persone che mi sono state vicine, probabilmente anche io, al loro posto, mi sarei comportata così, ma per me è stato difficile. 

La cosa strana è che quando finalmente il pediatra ha detto che c'era effettivamente qualcosa di cui preoccuparsi, io non ero pronta. Non ero pronta a sentire qualcuno che confermava le mie sensazioni, le mie paure. E quindi non l'ho accettato. Cercavo di dare amore a Riccardo, e allo stesso tempo a volte lo rifiutavo. Piangevo un sacco, mi chiedevo perché doveva essere così difficile, pregavo che da un giorno all'altro le cose migliorassero.

Quando ad un anno mi sono resa conto che Riccardo non sarebbe riuscito in poco tempo a muovere i suoi primi passi e a dire le sue paroline sono andata in crisi. Guardavo le altre mamme, ed ero arrabbiata; loro mi raccontavano di quanto erano felici nel sentire la parola MAMMA e della fatica di correr dietro in qualsiasi luogo e momento ai loro figli che erano diventati veloci. Parlavano della stanchezza e dell'attenzione che dovevano avere per non far correre rischi ai loro figli, a volte si lamentavano, altre volte erano orgogliose dei traguardi raggiunti. Mentre io ero sempre li', con Riccardo che aveva imparato a stare seduto finalmente senza essere circondato da migliaia di cuscini e con cui non potevo avere una sana "conversazione", di quelle che si hanno con bambini di un anno e mezzo. Piangeva tanto, urlava, perché io non capivo i suoi bisogni, e non sapevo più come comportarmi. Ero stanca, mi stava portando all'esasperazione e non vedevo via di uscita. Mi ricordo il sollievo quando, durante una serata, ho preso per mano la figlia di amici e abbiamo camminato insieme per un pochino...In quel momento, facendo una cosa che per tutti era normale, ho assaporato la fortuna enorme di tutti gli altri genitori e mi sono chiesta se a me sarebbe mai successo.
In tutta questa invidia e rabbia, dovevo stare attenta anche a come parlavo con mio marito; probabilmente entrambi abbiamo sbagliato a gestire questa cosa, perché, inizialmente, meno ne parlavamo e meglio era. Del tipo, non tiriamo fuori il problema così sembra che non ci sia. Per cui, per evitare di far star male l'altro, ci siamo chiusi in un guscio che ogni tanto, improvvisamente, scoppiava e faceva uscire tutte le lacrime, le urla, le imprecazioni e il nervosismo che avevamo accumulato nel tempo.

Poi, per fortuna, durante una serata con una cara amica, mi sono sfogata del tutto, e lei, molto chiaramente, mi ha consigliato di farmi aiutare da qualcuno a gestire la situazione. Senza pensarci due volte ho preso appuntamento con il professionista di cui lei mi aveva parlato.

Mi ricordo che una delle prime volte, in cui io spiegavo la situazione difficile e drammatica che stavo vivendo, quasi fosse la peggiore al mondo, ed esponevo tutto quello che gli altri genitori potevano fare e io no, questo signore mi ha chiesto "Ma lei, è sicura di amare suo figlio?". Certa e sicura della mia risposta affermativa, lui ha continuato dicendo "No, cara mia. Lei non ama suo figlio. Quello di cui mi sta parlando non è Amore. Se lei amasse veramente suo figlio, lo accetterebbe per quello che è, senza riserve, con le sue difficoltà e i suoi limiti, con le sue potenzialità e i suoi pregi. Perché lui è così, ed è arrivato così perché a voi serviva che arrivasse così." Ecco. Caduti in due secondi tutti i pilastri che mi ero costruita. Caduta la certezza che stavo ricoprendo il mio ruolo di mamma nel migliore dei modi.

Aveva ragione. Io non amavo mio figlio. O meglio, non lo amavo come avrei dovuto.

E con questa illuminazione mi sono resa conto che, effettivamente, passavo il mio tempo a lamentarmi, a piangere per ciò che non avevo e a sognare ciò che avrei voluto...e non vivevo ciò che in realtà avevo. Non vedevo Riccardo, non lo ascoltavo, non lo capivo. Lo guardavo e mi chiedevo perché era capitato proprio a me; lo sentivo e mi dicevo che non lo avrei mai capito, non mi sentivo capace. Ecco il motivo di tutte quelle urla, di tutti quei pianti isterici...io non c'ero, non ero veramente presente, e Riccardo lo aveva capito fin troppo bene. Altro che disabile, lui.
Grazie a questo professionista, ho imparato a vivere qui e ora. A godermi ciò che Riccardo mi sa regalare ogni giorno, e a lasciar stare ciò che non riesce a darmi in quell'istante. Mi ha insegnato ad abbandonare le aspettative di cui siamo ghiotti noi adulti, e di conseguenza ad assaporare meglio ogni singolo momento, gioire all'infinito di una piccola conquista e a saper anche piangere per una sconfitta o paura. Ho iniziato a guardare le altre famiglie con serenità, non più con invidia, cercando di coltivare i rapporti in modo da assicurare qualche amichetto in più per Riccardo. Ho imparato che non c'è normalità e disabilità, ma che ognuno vive la propria normalità a modo suo, perché in fondo la normalità è un concetto che ci siamo creati noi adulti...Se guardate i bambini, capite tutto! Ho imparato che Riccardo aveva bisogno di me, e che io avevo bisogno di lui, al di la' delle difficoltà e degli ostacoli. Semplice.

Ed ecco qui, ora ci ascoltiamo, ci parliamo, ci capiamo. Lo scalino era piccolo da superare, è stato difficile, ma ne è valsa la pena. Ora si, posso dire che AMO mio figlio, con tutta me stessa, perché amo lui, per com'è, e non lo cambierei. Accetto lui, con i suoi sorrisi e i suoi pianti, con i suoi pregi e i difetti, con le sue potenzialità e i suoi limiti, con tutti gli ostacoli che questa situazione comporta, e mi rendo conto che non avrei potuto avere figlio diverso. A me ci voleva Riccardo. A noi ci voleva Riccardo. E nessun altro.


P.S.: Che poi, a dirla tutta, bastava che mi ricordassi una delle canzoni più belle che ho scelto per il nostro matrimonio, e potevo anche arrivarci da sola!


Io vorrei saperti amare come Dio
che ti prende per mano ma ti lascia anche andare.
Vorrei saperti amare senza farti mai domande,
felice perchè esisti e così io posso darti il meglio di me.

RIT.:
Con la forza del mare,
l'eternità dei giorni,
la gioia dei voli,
la pace della sera,
l'immensità del cielo:
come ti ama Dio.
 
Io vorrei saperti amare come ti ama Dio
che ti conosce e ti accetta come sei.
Tenerti fra le mani come voli nell'azzurro,
felice perchè esisti e così io posso darti il meglio di me.
 
 
Io vorrei saperti amare come Dio
che ti fa migliore con l'amore che ti dona.
Seguirti fra la gente con la gioia che hai dentro,
felice perchè esisti e così io posso darti il meglio di me.

 

6 commenti:

  1. Io ho un'amica speciale! ❤ Dobbiamo imparare da te, da questa meravigliosa famiglia, per la quale l'amore è sempre alla base di tutto!

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Io non riesco a fare questo passo, guardo le bimbe dell'età di mia figlia e piango perché lei non è così, altre volte piango perché bisogna occuparsi di lei come di un bambino di 1-2 anni e invece ne ha 3 e mezzo, e sono stanca, semplicemente. Vorrei parlarle, dialogare con lei, vorrei si vestisse e mangiasse da sola, vorrei archiviare il passeggino... Vorrei la figlia immaginata e non questa reale. Mi sento un mostro, non riesco ad accettarla. Come fate, come avete fatto ad accettare? Tu, il papà di Tommaso che hai presentato qui nel tuo blog, e altre due mamme che seguo. Tutti voi scrivete di che dono fantastico vi abbia fatto il vostro figlio speciale. Io non ci riesco. Non vedo nessun dono, solo tanta fatica, tanta stanchezza, tante difficoltà, tante paure.

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  4. Ciao Chiara....che parole emozionanti....che mi hanno fatto definitivamente crollare a piangere quando hai citato la canzone scelta per il tuo matrimonio (anch'io ho scelto quella!!)...quanta INTENSITÀ nella tue parole..quanta SINCERITÀ....Ti ringrazio e ti abbraccio ...Monica

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    1. Grazie mille per le tue parole! Mi fa piacere che questo articolo abbia trasmesso queste sensazioni, mi fa davvero tanto piacere! un abbraccio!

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